Il 7 dicembre 2005, al Café Notegen in via
del Babuino a Roma, nasce il Movimento della
Neorinascenza letteraria, fondato da Luca Morricone,
Marzia Spinelli e Roberto Raieli, cui si
aggiungono Antonietta Tiberia e Francesco
Lioce.
Nel giugno 2006 è resa nota la pubblicazione della rivista
línfera, periodico quadrimestrale per la Neorinascenza della letteratura,
organo del Movimento, strumento e luogo di confronti per la cultura
italiana.
Il Movimento – si
legge nel suo Manifesto, a firma di Luca Morricone – nasce dall’attesa di
«un imminente cambiamento, rispetto alla deriva del non scegliere, del lasciare
che si decida per noi stessi o che non si decida». La Neorinascenza si prefigge
di segnare una rotta e di «ricollocare le arti e, in primo luogo, la letteratura
entro i campi di destinazione, socialmente e individualmente significanti,
contro la spettacolarizzazione, la mercificazione e l’autoridimensionamento che
le confondono». Perciò, refrattaria alle omologazioni, non si propone come
scuola, bensì «come il nutrimento e la riaffermazione della dignità di
differenze e individualità».
Il termine ‘Neorinascenza’, tuttavia, va
parimenti inteso come una scatola con fronzoli appiccicati dalla retorica
enfatica che pure sembra inevitabile, quando si perseguono idealità
probabilmente irrealizzabili. Quindi il contenitore si svuota, e il vocabolo
ha il pregio di dover essere riempito di nuovo e problematizzato, con la
carnalità che è ‘movimento’ in quanto ‘scelta’ di compiere un’azione: «la
letteratura si fa».
L’utopia è nell’ingenuità di inseguire il dialogo – anche
attraverso lo scontro – con epoche, culture, tradizioni, generazioni e individui
diversi; è desiderare la rinascita di una società del rispetto – prima di tutto
delle differenze – che non sia soltanto fertile humus per le arti. Da cui la
dimensione del concetto è più ampia di un astratto ed esclusivo pensare la
letteratura. Piuttosto, si denunciano gli uomini, il bieco opportunismo, i vari
travestimenti con cui la moda è venduta e acquistata come arte, le
responsabilità etiche e sociali ripudiate dai singoli e anche dagli
intellettuali. La visione – per nulla scontata – è praticare l’utopia, affinché
non resti tutto inalterato.